I paradossi del pensiero- il mentitore

I paradossi fanno parte del linguaggio. Il linguaggio, il pensiero (logos) sono strumenti potenti, la logica si applica nel mondo duale, dove tutto è visto in termini di vero o falso e dove vi è una scelta, a volte però presentano però dei limiti. Una ipotesi può essere che il difetto sta nel porre delle premesse errate, proprio per creare un problema irrisolvibile. Questo richiama al fatto che nella formulazione della domanda si può porre un enigma, appunto irrisolvibile.

AtteNzione aI PARADOSSI E  logos

Ciò  ci fa capire che il linguaggio e il pensiero razionale stesso, richiede attenta genesi e formulazioni corrette. Ogni altro tentativo di connessione e screditamento di altre discipline è arbitrario e vago. La logica non è solo decostruzione metafisica, semmai invita ad espandere invece che contrarre. La contrazione riducendo il campo mira a creare assolutezza del rigore logico, che però fino a un certo punto può essere applicato alla realtà poiché dovremmo ipotizzare una restrizione di essa e nessuno ci garantisce che possiamo farlo. La prima citazione del paradosso si trova nella Lettera a Tito di Paolo di Tarso: «Uno di loro, proprio un loro profeta, ha detto: «I Cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie e fannulloni». Il “profeta” a cui allude Paolo sarebbe Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), di cui non ci restano scritti.

Epimenide paradossi

Il paradosso del mentitore

Questo paradosso suscitò un certo interesse oltre che clamore. Ora visto che egli era cretese, avrebbe dovuto conseguentemente essere bugiardo e perciò l’affermazione avrebbe dovuto essere falsa poiché proveniente da un bugiardo. Ma se Epimenide fosse stato un cretese che, almeno in questa occasione, non diceva il falso, l’affermazione sarebbe risultata ugualmente falsa poiché avrebbe contraddetto i suoi termini, avrebbe infatti significato che non tutti i cretesi erano bugiardi.

Può darsi che volesse intendere semplicemente che la maggioranza dei cretesi sono bugiardi, il che non vuol dire che non ve ne può essere almeno uno che dica la verità, anche se niente assicura che fosse proprio Epimenide. O forse la frase non è da intendere in senso assoluto matematico e allora in realtà ciò normalizzerebbe la questione, poiché il problema non avrebbe dovuto neanche essere posto.

Altre formulazioni

Diogene Laerzio ha attribuito l’ideazione del paradosso al filosofo megarico Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.). Egli riformulò l’affermazione di Epimenide dicendo ψευδόμενος (pseudòmenos), «io sto mentendo». Da notare in primo luogo che la frase è «io sto mentendo», e non «io sono bugiardo», nel senso che «quello che sto dicendo in questo momento è una menzogna». Con Eubulide si ripropone lo stesso dilemma di Epimenide: può essere vera la frase di uno che afferma «io sto dicendo il falso»? La frase di Eubulide non può essere vera, poiché altrimenti sarebbe falsa, ma non può essere neanche falsa, perché sarebbe vero il suo contrario, perché c’è un elemento nuovo rispetto a « i Cretesi mentono»: l’autoriferimento. Eubulide sta parlando di se stesso, cioè sta affermando di se stesso che mente, e questo non può essere né vero né falso. Cioè se un uomo dice: “Ciò che ora sto dicendo è una menzogna”. Se l’affermazione è vera, allora sta mentendo, anche se l’affermazione è vera. Se invece l’affermazione è falsa, allora l’uomo non sta effettivamente mentendo, anche se l’affermazione è una menzogna. In questo modo  se colui che parla sta mentendo, dice la verità e viceversa. Questa è un antinomia.

Elaborazioni

Dal paradosso del mentitore sono derivate elaborazioni diversificate di altri autori attraverso i secoli, e anche attualmente l’argomento è assai dibattuto. Tra le più note riformulazioni del paradosso del mentitore possiamo citare senza approfondirle:

Soluzioni del paradosso del mentitore

CRISIPPO

La soluzione data da Crisippo dice semplicemente che i paradossi sono il rovesciamento del buon senso: vi sono frasi delle quali «non si deve dire che esse dicono il vero e (neppure) il falso; né si deve congetturare in un altro modo, cioè che lo stesso (enunciato) esprima simultaneamente il vero e il falso, bensì che esse sono completamente prive di significato».

ARISTOTELE

La soluzione prospettata da Aristotele è la seguente: le frasi dei paradossi si fondano sulla confusione tra uso e menzione. Quando si dice “io sto mentendo”, si sta usando la frase, nel senso che si tratta di un paradosso di tipo autoreferenziale, catalogato tra gli insolubilia; chi enuncia una frase insolubile, non dice letteralmente nulla e pertanto la proposizione (o meglio, la pseudoproposizione) deve essere semplicemente cassata.

Guglielmo di Ockham

Nel Medioevo, una proposta di soluzione fu avanzata da Guglielmo di Ockham (1285-1347). Dal momento che la cassatio di Aristotele non forniva una soluzione concreta, egli introdusse la distinzione tra linguaggio e metalinguaggio. Solo le frasi autoreferenziali mescolano i due livelli in uno solo, perché dire “io sto mentendo” è una frase che si pone nel metalinguaggio (per quanto riguarda il verbo mentire, il cui concetto trova spiegazione non nella frase stessa ma in un altro livello), ma è espressa mediante il linguaggio.

Alfred Tarski

Nel 1944, Alfred Tarski  propose la soluzione considerata più soddisfacente, che considera l’autonimia con cui un enunciato di un linguaggio occorre nel metalinguaggio che lo analizza.

Logiche non classiche

Nelle logiche non classiche in cui non vale il principio di non-contraddizione, i paradossi come quelle del mentitore non generano alcun paradosso. Per esempio nella logica fuzzy, dove il valore di verità può variare tra 0 e 1, tali frasi hanno un valore di verità pari a 0,5.I paradossi sono abbastanza interessanti.